Il comportamento alimentare del bambino

Già nella fase di allattamento, l’alimentazione assume forti connotazioni comunicative e simboliche: la relazione madre-bambino, che si sviluppa moltissimo nel momento dell’allattamento, è centrale sia per la formazione del legame di attaccamento sia per la strutturazione dei rapporti di reciprocità, il bambino impara che può avere una risposta adeguata ai suoi bisogni, a fidarsi e a tollerare il distacco, in presenza di un sano attaccamento. Quindi capiamo come cibo, relazione ed emozioni siano inscindibili.

Poi, dopo lo svezzamento, va detto ai genitori che fino ai 6 anni sarà normale una certa irregolarità alimentare del bambino. Vi possono esser momenti di maggior o minore richiesta di cibo, o capricci verso determinati alimenti. Il bambino sviluppa gusti, preferenze, imita modelli, risponde ai suoi vissuti con un maggior o minore appetito, proprio come un adulto. Poi si possono osservare comportamenti particolari e ripetitivi che possono allarmare i genitori come le manie alimentari e l’alimentazione selettiva o restrittiva e l’iperalimentazione.

Innanzitutto, spieghiamo bene in che cosa consistono queste varianti al comportamento considerato normale.
Le manie alimentari consistono nella scelta da parte di bambini generalmente piccoli (età prescolare) di pochi tipi di cibo, solitamente non più di tre o quattro. Spesso i genitori si preoccupano, ma occorre non allarmarsi se tra i cibi selezionati ci sono anche sono cibi completi con i quali si possono creare dei pasti con normali introiti di macronutrienti (di proteine, carboidrati e grassi); se la fase dura poco e non genera nel bambino disagio nei contesti sociali e ricreativi (cioè se il bambino quando è con i suoi pari ricerca delle “piccole varianti” alla propria alimentazione e sperimentazione di nuovi gusti, per il desiderio di convivialità), in caso contrario il comportamento diventa ossessivo e va maggiormente monitorato.
Spesso è solo una fase nella quale il bambino esprime con forza i suoi gusti attraverso i quali conosce e fa conoscere sé stesso.

Le manie alimentari che “non passano” possono diventare un’alimentazione selettiva o restrittiva di lunga durata. In questo caso i bambini, anche avvicinandosi all’inizio della scuola primaria continuano a mangiare solo una gamma ristretta di cibi e spesso mangiano solo cinque o sei tipi di alimenti. Non vogliono provare cibi nuovi e non si riesce a persuaderli a farlo in nessuna circostanza.

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Questo può avvenire ad esempio se:
– Vi sono comportamenti eccessivamente accomodanti dei genitori che non condividono a tavola una variabilità alimentare o che appoggiano eccessivamente i gusti del bambino;
– all’opposto insistono o forzano eccessivamente il bambino cercando di spiegare razionalmente il perché altri cibi facciano bene, senza esser modelli di riferimento coerenti.

Dunque, il genitore può senza dubbio prestarsi come modello positivo, facendo vedere al bambino che nel suo piatto, oltre ai cibi preparati per lui, ci sono altri nutrienti che lui mangia regolarmente, che lo fanno stare bene, gli danno forza, energia, sorriso.
Inoltre, è necessario ascoltare il piano emotivo del bambino. In assenza di comportamenti poco consoni dei genitori, il bambino potrebbe con le sue restrizioni alimentare comunicarci altro, qualcosa che non riesce ad esprimere a parole. Quello che il genitore può fare è mettersi in contatto con il disagio. Potrebbe riguardare il bisogno di affermare sé stessi o di ribellarsi in un momento delicato per la famiglia, ad esempio conflitti ricorrenti, la nascita di un fratellino, un momento difficile a scuola. In genere, se non accompagnato da altri comportamenti “selettivi”, questa fase non porta strascichi o conseguenze dirette per lo sviluppo di un disturbo alimentare, l’importante è rimanere in ascolto e provare a veicolare una buona educazione alimentare. Favorire la comunicazione del bambino dei suoi stati d’animo, affinché il cibo non diventi il suo veicolo primario con il quale sfoga emozioni e difficoltà.

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Un altro problema spesso osservato è l’iperalimentazione compulsiva.
Alcuni bambini mangiano molto fin dalla prima infanzia e persistono nella stessa modalità durante la preadolescenza e l’adolescenza. Pur mangiando in modo eccessivo, ma non si preoccupano in maniera particolare del peso o della forma del corpo. Inoltre, non avvertono un senso di perdita di controllo mentre mangiano, né si sentono in colpa e quindi non hanno come nella bulimia condotte compensatorie (vomito autoindotto, abuso di lassativi…). Hanno però in comune con la bulimia nervosa la tendenza a mangiare molto se stressati o se provano disagio. Il tentativo dei genitori di far seguire loro una dieta raramente ha successo e di conseguenza finiscono con il vivere male il loro sovrappeso, come un qualcosa che non può esser ascoltato e compreso, ma solo aggiustato. Anche in questi casi la sinergia psicologo-nutrizionista per aiutare i genitori può esser la carta vincente.

Sicuramente in entrambi i casi il comportamento disfunzionale si sviluppa nella stessa sfera. Tuttavia, raramente un bambino con un’alimentazione restrittiva o con iperalimentazione sviluppa un disturbo del comportamento alimentare. Il loro rapporto con il cibo potrebbe rimanere come ho detto prima conflittuale, e il cibo potrebbe esser utilizzato messaggi o per gestire ansia e stress ma generalmente mancano le preoccupazioni di peso e di immagine corporea, come invece accade nei disturbi del comportamento alimentare (anoressia e bulimia nervosa o disturbi sotto soglia clinica) che possono instaurarsi già in un’età prepuberale anche in bambini che hanno sempre mangiato di tutto.

La differenza è nel bisogno che innesca il comportamento ed è su questo che uno psicologo che riceve una richiesta d’aiuto, da parte di una coppia di genitori, deve indagare ed agire.

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