Definisco la psicomotricità con le parole della mia insegnante, la dr.ssa Anne-Marie Wille che mi ha appassionata alla psicomotricità quando già ero psicologa. “All’inizio era il verbo? No, era l’azione. Ben prima di parlare infatti il bambino agisce: volta il capo, cerca con lo sguardo, prende gli oggetti… Questo è il primo modo di entrare in relazione con il proprio corpo e con il mondo”.
La psicomotricità è una disciplina che si è sviluppata negli ultimi decenni anche in Italia, di derivazione francese ed è un concentrato di attività di valutazione, terapeutiche e preventive dove il corpo non è mai scisso dalla mente.
Il mio spazio adibito alla Psicomotricità.
Il setting può esser composto da più o meno oggetti, strumenti, materiali solo motori o anche di disegno… La conduzione può esser più o meno direttiva (cioè il terapista può dare più o meno istruzioni), il tutto in base alle finalità dell’intervento.
Gli interventi infatti possono esser abilitativi / educativi e quindi svolgersi in ambienti extra sanitari (asili, scuole dell’infanzia o scuola primaria) oppure riabilitativi e quindi in ambienti clinici. Nelle scuole le attività che sono generalmente di gruppo prevedono il potenziamento di schemi motori di base, la capacità di stare in gruppi di pari rispettando regole, spazi, turni, …acquisire sicurezza, autostima, conoscere il proprio schema corporeo etc…. insomma, attività che veicolino uno sviluppo psicomotorio sano.
Negli ambienti clinici i laureati in terapia della neuropsicomotricità, o gli psicomotricisti che possono essere anche psicologi adeguatamente formati, lavorano con bambini e genitori per riabilitare aspetti dello sviluppo o fisico, o cognitivo psicologico che possono risultare difficoltosi o deficitari: esempio goffaggine, inibizione e poca esplorazione degli oggetti e degli spazi, iperattività motoria e cognitiva, tratti di aggressività e oppositività, tratti di forte timidezza.
Motricità globale: propriocezione, coordinazione, equilibrio, controllo tonico…
In generale con la psicomotricità si vanno a potenziare:
– la motricità globale (con esercizi che coinvolgono tutto il corpo);
– la motricità fine (con esercizi che coinvolgono braccia e mani e la coordinazione occhio-mano);
– la coordinazione e la propriocezione (cioè come il bambino sente e percepisce il proprio corpo nella sua forza, forma, …);
– l’attenzione;
– la memoria;
– le funzioni visuo spaziali e la spazialità (cioè l’abilità di organizzare gli oggetti nello spazio o di posizionare sé stessi nello spazio con esercizi di esplorazione, posizionamento, …..);
– gli altri aspetti della sensorialità (ad esempio il tatto) con esercizi che prevedono l’utilizzo di materiali con caratteristiche diverse;
– il concetto di temporalità (con esercizi sul ritmo, la frequenza e l’utilizzo del corpo e del movimento con stimoli musicali);
– le abilità relazionali perché gli esercizi sia che siano di gruppo sia che siano individuali prevedono il rispetto di uno spazio e di tempi condivisi con i pari o con il terapista;
– sicurezza, autostima, conoscenza di sé, rispetto degli altri, etc sono aspetti emotivo-relazionali sollecitati e stimolati dalla disciplina psicomotoria.
Psicomotricità funzionale
Quindi abbiamo capito che nei percorsi educativi è un grande aiuto allo sviluppo e nei percorsi terapeutico/riabilitativi è un ottimo strumento per migliorare delle difficoltà sia fisiche sia psicologiche e in questo caso è necessario un lavoro di equipe. Quindi, la psicomotricità è molto più di un gioco o di un esercizio fisico e ritengo che sia molto importante che i genitori sappiano cosa c’è dietro a questi momenti nei quali il bambino crea, gioca e si diverte.
Dr.ssa Silvia Colizzi Psicologa clinica, perfezionata in Neuropsicologia, Psicomotricità, DSA, PNL e Coaching.