Il confronto disciplinare fra psicologia e diritto è interessante, sia sul piano teorico che sul piano pratico e applicativo.
La psicologia giuridica si occupa dei problemi che possono sorgere nei rapporti tra gli individui, i gruppi, le istituzioni da un lato e la legge dall’altro. Cioè problemi che riguardano la convivenza civile nelle sue varie declinazioni, pubbliche o private. La legge infatti è il fondamento della convivenza umana ed ha il compito di definire delle regole che permettano di tutelare gli interessi individuali e collettivi quando entrano in conflitto tra di loro.
La psicologia può contribuire alla definizione delle necessità umane e dei diritti che ne conseguono in una comunità che voglia aiutare le persone a realizzarsi. Quando la psicologia si pone in prospettiva giuridica, poi, può entrare ulteriormente nello specifico dei vari problemi e dare un contributo alla definizione dei diritti di individui o gruppi o categorie umane specifiche (minori, anziani, disabili, minoranze etniche…). La psicologia da un punto di vista pratico è chiamata a definire la responsabilità di chi ha agito, valutando la motivazione, la consapevolezza, l’intenzione che caratterizza un comportamento normale o deviante (vedi ‘capacità di intendere e volere’, ‘valutazione della vittima: diagnosi e prognosi, ecc’, la cosiddetta “vittimologia”: rapporto interattivo fra chi commette e chi subisce il crimine).
Altre applicazioni della psicologia giuridica sono legate alle competenze della psicologia in sviluppo ed educazione, come ad esempio per valutare l’idoneità educativa parentale in adozioni, divorzi o affidamenti. Inoltre un problema che si sta ponendo nella società attuale e che può essere di competenza psicologica è quello dell’invecchiamento della popolazione, con tutte le implicazioni che ne derivano.
Il ruolo dello Psicologo in qualità’ di Perito o di Consulente Tecnico d’Ufficio e’ quello di acquisire informazioni sulle condizioni psicologiche e sulle risorse personali, familiari, sociali e ambientali del soggetto o dei soggetti, al fine di fornire al Giudice maggiori elementi per emettere una sentenza.
La mediazione familiare è relata ad una professionalità specifica nel ramo giuridico. Ancora poco conosciuta in Italia, rappresenta principalmente uno strumento per coniugi in crisi coniugale ed intenzionati a separarsi, offre un’opportunità per promuovere le risorse e sostenere competenze genitoriali con particolare riguardo all’interesse dei figli, uno strumento per esplorare soluzioni innovative e personalizzate ai loro conflitti.
Il Mediatore Familiare assumendo una posizione neutrale e imparziale non giudica l’adeguatezza degli operati dei coniugi ma facilita e stimola in essi la ricerca di soluzioni adeguate ai conflitti grazie anche allo sviluppo di nuovi canali comunicativi. Tale orientamento risponde non solo a un necessario snellimento giurisdizionale, ma e soprattutto, conduce le parti in conflitto a negoziare le rispettive istanze, uscendo dalla controversia con un accordo maggiormente condiviso e più’ rispondente ai propri bisogni, lontano da una logica che vuole sempre un vincitore e un perdente.
Va sottolineato, tuttavia, che la Mediazione Familiare non e’ necessariamente rivolta alle coppie che hanno già deciso di separarsi: in quanto servizio di aiuto in caso di conflittualità familiare, possono recarsi dal mediatore tutti coloro che vivono una situazione di conflitto in famiglia e che sentono il bisogno di trovare uno spazio neutro in cui confrontarsi per chiarire la propria posizione, le proprie idee, o ritrovare un proprio ruolo coniugale o genitoriale corroso dal tempo o da situazioni conflittuali.
Oltre ai conflitti tra coniugi, la mediazione si rivolge a tutte quelle situazioni di cambiamento e di crisi del sistema familiare in cui i membri della famiglia si trovano a dover rinegoziare le reciproche posizioni, competenze e ruoli (eredità, diatribe in merito all’assistenza di un genitore anziano e/o malato,…etc..)
Sia la psicologia giuridica, sia la mediazione familiari sono rami vasti ma al contempo specifici. A differenza della Psicologia clinica richiedono da parte dello psicologo, che agisce in qualità di perito o mediatore, un’azione valutativa strettamente legata all’oggetto della domanda esposta dal cliente o dal giudice. In ambito civile, ad esempio, il giudice potrebbe volere un quadro più dettagliato circa le “capacità o competenze genitoriali” dei coniugi prima di stabilire l’affidamento del minore; in ambito penale, invece, il giudice potrebbe chiedere una valutazione della “pericolosità sociale” per stabilire se la persona che ha commesso un reato, anche se non imputabile, può essere definita socialmente pericolosa e determinare se il soggetto potrebbe commettere reati in futuro.
A differenza del ramo clinico, nel quale lo psicologo può spaziare a livello anamnestico e valutativo nella vita del suo cliente, in un ottica biopsicosociale, nel ramo giuridico lo psicologo dovrà operare solo in funzione del quesito legale. Qualsiasi altro elemento “estraneo” non dovrà essere preso in considerazione.
Il quesito legale rappresenta l’ambito processuale entro il quale l’esperto deve muoversi.
Nel seguente articolo, “Uno sguardo all’interno delle tematiche della psicologia giuridica e forense” (vedi articolo) analizzo ulteriormente il campo d’azione della psicologia giuridica, definendone i confini con la Psicologia forense e la Criminologia.
A cura di Silvia Colizzi (Psicologa Clinica esperta in Neuropsicologia e attualmente in via di perfezionamento in Psicologia Giuridica-forense)
Un pensiero riguardo “Il range d’azione della Psicologia Giuridica e della Mediazione Familiare”